

«Il corpo docente deve smettere di credere che i compiti portino automaticamente dei benefici», afferma l’esperto
Nella maggior parte dei cantoni la scuola è ricominciata e così in molte famiglie anche la battaglia dei compiti. Sono ancora necessari? Se sì, quali sono utili? Diamo la parola a un esperto di insegnamento.
Ci risiamo: a due settimane dall’inizio della scuola, la situazione a casa nostra ci è già sfuggita di mano. Il motivo: i compiti. Mentre ho rinunciato a cercare di capire esattamente come mio figlio debba risolvere i problemi di matematica, lui (non meno innervosito) ha fatto sparire il quaderno e l’astuccio nella sua cartella.
Ognuno di noi ha un proprio ricordo, non per forza positivo, dei compiti. Da quando i miei figli vanno a scuola, il tema è tornato a galla. Spesso mi sono chiesto se i compiti avessero davvero un senso e continuo a chiedermi quale sia la loro funzione e, cosa ancora più importante, se anche gli insegnanti si pongono questa domanda.
Nella maggior parte dei casi, la scelta di dare dei compiti per casa spetta all’istituto scolastico. In effetti, alcuni comuni come Arbon, Kriens o, più recentemente, Männedorf (due anni fa) hanno già deciso di abolire i compiti. Tuttavia, rimangono indispensabili nella maggior parte delle scuole svizzere.
Non sono solo gli alunni e i genitori a interrogarsi sul senso dei compiti per casa, ma naturalmente anche scienziati dell’educazione come Stefan Schönenberger, docente all’alta scuola pedagogica della Scuola universitaria professionale della Svizzera nordoccidentale. Nell’ambito della sua cattedra in sviluppo dell’insegnamento e ricerca didattica si occupa di formare il corpo insegnante di scuola elementare sul tema dei compiti per casa.
Signor Schönenberger, a casa nostra volano scintille per via dei compiti. Cosa stiamo sbagliando?
Stefan Schönenberger: (ride). Posso rassicurarla che non siete da soli con questo problema. Il tema dei compiti viene costantemente discusso da molti genitori, bambini ma anche insegnanti. Ora le cose si fanno interessanti: non solo in senso negativo, come si potrebbe pensare.
Cioè?
Di recente nel Canton Zugo un sondaggio condotto tra i genitori ha rivelato che tre quarti di loro considerano i compiti importanti. Oltre l’80% ha addirittura dichiarato di trovarli utili e nove genitori su dieci hanno dato un’occhiata ai compiti dei loro figli. Ci sono altri sondaggi che riportano risultati simili.
Questo esito mi sorprende. Come spiega la grande approvazione?
I compiti per casa sono profondamente radicati nella nostra tradizione e si sono affermati nelle scuole elementari da oltre 100 anni. Queste tradizioni, o chiamiamoli modelli, si trasmettono di generazione in generazione. Gli insegnanti che hanno dovuto fare i loro compiti da bambini di solito adottano questo modello senza metterlo in discussione.
Non sarebbe quindi importante sensibilizzare i futuri insegnanti a mettere in discussione questi modelli?
Sì, certo, ed è quello che succede. Naturalmente i futuri docenti affrontano la questione dell’utilità dei compiti, così come altri temi. Le scuole di formazione per insegnanti devono e vogliono orientarsi alla ricerca didattica. Tuttavia, come già detto, non è così facile rompere gli schemi vissuti da bambini. Il cambiamento può avvenire solo attraverso la comprensione e la riflessione personale.
Il problema è che anche se si riconosce la necessità di un cambiamento, o diciamo di un adattamento, potrebbe essere difficile attuarlo su larga scala, perché le singole scuole e il corpo insegnante hanno una grande autonomia.
È così. In fin dei conti si tratta di una questione politica. Alcuni cantoni la regolano con leggi, altri con ordinanze e altri ancora operano con direttive delle autorità. Tuttavia, i comuni definiscono autonomamente i dettagli dei compiti per casa, il che non è solo un male. Prendiamo come esempio il comune di Kriens, che nel 2018 è stato il primo in Svizzera ad abolire i compiti. Il motivo citato dal direttore è l’educazione equa: i bambini provenienti da contesti educativamente svantaggiati non vengono aiutati a casa.
Vorrei parlare più avanti del ruolo dei genitori. Rimaniamo per un momento ai compiti. Cosa «è sempre stato fatto», che nel 2022 si dovrebbe affrontare in modo diverso?
Oggi nelle scuole primarie prevale ancora una monocultura dei compiti di ripasso. In altre parole, i compiti servono ancora per esercitarsi e ripassare ciò che si è appreso.
È vero, anch’io la vedo così. E vedo anche un’altra cosa, senza criticare gli insegnanti dei miei figli. Mi sembra, e fino a un certo punto posso anche capirlo, che i compiti debbano contribuire a mantenere tutti gli allievi sempre allo stesso livello.
Sì, questo è spesso il motivo dei compiti per casa, riportare gli alunni allo stesso livello. Purtroppo, però, gli studi dimostrano che proprio questi compiti non favoriscono l’effetto di apprendimento e, nel peggiore dei casi, sono addirittura controproducenti.
Perché?
Cerchiamo di essere un po’ più specifici. Non c’è nulla di male nel concedere agli alunni con più difficoltà più tempo di apprendimento con compiti semplici. Tuttavia, può andare a scapito dei più bravi. Se tutti gli allievi devono fare gli stessi compiti, il risultato può essere che i più bravi si stufino perché devono svolgere esercizi che hanno già capito. Chi lavora in modo efficiente è quindi penalizzato. Gli studi dimostrano che i compiti ripetitivi a un livello piuttosto facile demotivano gli allievi, che di conseguenza si impegnano meno.
Il risultato?
La voglia di imparare va persa. Inoltre, i più deboli spesso non ne beneficiano, perché il tempo dedicato ai compiti ha un effetto negativo. A parità di condizioni, chi dedica più tempo ai compiti ottiene risultati peggiori. Questo può essere legato al fatto che gli alunni tendono a essere poco concentrati quando svolgono i compiti. Importante: parliamo sempre di compiti assegnati e non di apprendimento autonomo e indipendente.
Quale tipo di compiti sono utili?
In generale, sono preferibili esercizi brevi e frequenti, così come compiti di preparazione. Questi ultimi sono più efficaci dei compiti di ripasso. Ma naturalmente gli esercizi devono essere corretti in classe. Inoltre, gli alunni devono avere l’impressione che i compiti servano a qualcosa. Questo aspetto è legato anche alla qualità degli esercizi. Devono essere coinvolgenti a livello cognitivo, cioè stimolare il pensiero. In effetti, la somma degli studi indica che, soprattutto per i bambini più piccoli, l’efficacia dei compiti non è il buon rendimento bensì l’auto-organizzazione.

Spesso si nota che tutti gli alunni devono fare gli stessi compiti.
Questo è davvero un problema: spesso tutti gli allievi devono svolgere gli stessi esercizi, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Tuttavia, questa parità di trattamento porta di nuovo a una disparità.
Perché?
Gli alunni veloci svolgono i compiti velocemente, quelli lenti lentamente. Sarebbe ideale che il corpo docente desse dei compiti differenti e non pretendesse lo stesso da tutti. Infatti, non solo un carico eccessivo di lavoro è demotivante, ma anche il contrario.
Una cosa ovvia, no?
Le lezioni sono differenziate già da molto tempo. Tuttavia, la qualità della differenziazione è un'altra storia. È un controsenso se le lezioni tengono conto delle esigenze individuali e poi i compiti sono uguali per tutti. Tuttavia, è legittimo chiedersi fino a che punto anche questo sia fattibile per il corpo insegnante, oltre a tutto il resto.
Ha menzionato anche la qualità del sostegno dei genitori.
Non solo i bambini «soffrono» regolarmente per i compiti. Anche molti genitori sanno quanto sia snervante e soprattutto richieda molto tempo sostenere e controllare i bambini durante i compiti. Spesso si sente dire che i genitori di allievi delle scuole medie passano da una a due ore al giorno a fare i compiti con i loro figli.
A volte si ha l’impressione che la scuola esternalizzi l’insegnamento ai genitori.
Se i genitori devono fare i compiti con i loro figli per una o due ore al giorno, qualcosa è andato storto. Uno dei motivi potrebbe essere che l’insegnante ha dato troppi compiti o non adeguati. Tuttavia, può anche essere legato ad aspettative eccessive da parte dei genitori.
Qual è allora l’approccio giusto per i genitori?
In linea di principio, non ha senso sostenere i bambini a livello tecnico, perché in genere dovrebbero ricevere solo esercizi che sono in grado di risolvere. Tuttavia, i genitori possono appoggiare i figli nella gestione delle emozioni e possono motivarli a fare i compiti. Intervenire in modo eccessivo, però, è spesso controproducente.
Quindi gli insegnanti dovrebbero assegnare solo compiti che i bambini sono in grado di risolvere autonomamente, giusto?
Sì, non appena i genitori devono intervenire a livello tecnico, il principio secondo cui i compiti dovrebbero essere svolti in modo indipendente svanisce. Inoltre, l’eccessivo appoggio dei genitori nasconde il bisogno di sostegno di un bambino.
Ho anche notato che il giorno successivo l’insegnante dà solo un’occhiata veloce ai compiti. Posso anche capirlo con una classe di oltre 20 allievi.
Ecco un altro problema! Infatti, non è importante solo la struttura dei compiti, ma anche cosa succede dopo. Ovviamente ci vuole un controllo, perché altrimenti gli alunni pensano che non valga la pena di svolgere i compiti e smettono subito di farli. Un feedback, invece, sarebbe più importante del semplice controllo.
Suona bene. Ma come fanno a dare un feedback personale sui compiti a 25 alunni?
Ottima osservazione. Da un lato, non si tratta di un feedback completamente individuale, ma di una discussione in cui vengono raccolte le riflessioni e le soluzioni degli alunni. D’altra parte, è un altro argomento a favore dei compiti di preparazione e non di ripasso. Così si prendono due piccioni con una fava. In primo luogo, questi compiti sono più motivanti per i bambini e, in secondo luogo, l’insegnante può strutturare la lezione in base alla preparazione svolta.
I compiti sono davvero adatti per tenere traccia del progresso di apprendimento?
Purtroppo, i compiti non sono stressanti solo per i bambini. I genitori sanno quanto sia snervante e soprattutto richieda molto tempo sostenere i figli durante i compiti. Questi ultimi portano spesso a discussioni, frustrazione e stress costante in molte famiglie. Quando i bambini tornano a casa da scuola la prima frase è tipicamente: «Ehi tesoro, com’è andata la scuola?», seguita da «Hai ricevuto dei compiti?».
Signor Schönenberger, non sarebbe meglio sostituire i compiti a casa con esercizi in classe, se necessario seguiti da un insegnante? Questa soluzione dovrebbe non solo alleggerire i genitori, ma sarebbe anche più equa, perché non tutti i bambini hanno le stesse condizioni a casa.
Molte scuole fanno proprio questo. Tuttavia, il contesto sociale non gioca alcun ruolo nella supervisione dei compiti dei bambini, anche se non è proprio quello che ci si aspetterebbe. È invece molto più importante informare i genitori e renderli consapevoli di ciò che devono o non devono fare. Già questo toglierebbe loro molta pressione. Alla fine, non credo ci sia una grande differenza tra i compiti per casa e gli esercizi in classe.
In che senso?
Per me è fondamentale che le scuole e il copro docente si chiedano perché assegnano i compiti per casa e quale è la loro funzione principale.
Ho piuttosto l’impressione che proprio questo non succeda. I compiti vengono assegnati «perché è sempre stato fatto così».
Di per sé i compiti non sono giusti o sbagliati, ma bisogna assegnarli. Non importa se i genitori sono a favore o contro: dovrebbero potersi aspettare che una scuola sappia esattamente se e perché assegnare dei compiti per casa. Se una scuola ha una posizione comune chiara e la comunica, spesso anche i genitori più critici possono accettarla.
All’inizio ha accennato che molti genitori vogliono mantenere i compiti. Uno degli argomenti principali ricorrenti è che temono che senza compiti non vedranno più i progressi di apprendimento dei loro figli. Hanno ragione, no?
Sono piuttosto scettico. I compiti sono davvero un mezzo adatto per vedere i progressi? Opterei invece per delle scatole in cui i bambini inseriscono lavori ed esercizi che sono importanti per il loro percorso di apprendimento. Poi, di tanto in tanto, possono portare a casa la scatola per mostrare ai genitori cosa hanno imparato. Con i voti la situazione è simile: per i genitori sono importanti perché pensano di poter vedere a che punto è loro figlio o figlia. Ma anche in questo caso ci sarebbero forme alternative.
Quindi possiamo riassumere che non ci sono ragioni generiche a favore o contro i compiti, ma che bisogna considerare la questione in modo distinto?
Esatto, anche per i compiti le generalizzazioni sono fuori luogo. Il mio consiglio: non è la forma che è decisiva, ma il modo in cui si mette in atto qualcosa, quindi dipende dai dettagli. Prendiamo ad esempio il piano settimanale: anche se esiste, non significa che gli alunni lavorino in modo autonomo. Se non ci sono scelte e bisogna solo spuntare una casella in fondo a ogni esercizio, si ottiene il risultato opposto all’autonomia. Così gli alunni diventano delle «macchine che risolvono esercizi» e nella loro mente pensano al massimo a concludere un incarico. Dall’esterno sembra innovativo e fa un effetto «wow», ma in realtà non è per niente così.
E cosa significa per i compiti?
Il corpo docente deve smettere di credere che i compiti portino automaticamente dei benefici. Alla fine, non è decisivo «quanti» compiti assegnare, ma quale qualità hanno e per quale scopo vengono dati.
Signor Schönenberger, grazie mille per l'intervista. Ora devo solo pensare a quanto queste considerazioni teoriche sui compiti mi siano utili nella vita quotidiana. Forse ne parlerò con i miei figli in modo che possano iniziare una piccola rivoluzione a scuola.
Domanda alla Community: i compiti fanno disperare anche te? O meglio: quali sono i tuoi consigli per un approccio più sereno ai compiti?
Doppiamente papà, terzogenito, fungiatt, pescatore, danese per metà, spettatore hardcore e campione di gaffe.