
Retroscena
Il fil rouge di Liv Interior
di Pia Seidel
Bitten Stetter progetta per anni spensierati capi di moda. Poi, sua madre si ammala. Da allora, dedica il suo impegno a rendere più dignitosi gli ultimi periodi di vita.
Ospedale e discoteca tecno al contempo. È così che appare la sala espositiva illuminata al neon. Il mio sguardo si posa su una struttura di metallo; proprio accanto ad essa c'è un letto d'ospedale. Al letto sono attaccati due schermi: uno mostra immagini di sedie gabinetto, pannolini per adulti e portapillole. L’altro anelli di dentizione, bavaglini e giochi. Il bellissimo mondo colorato dei neonati incontra l’insensibile mondo privo di amore degli anziani. Questo riflette perfettamente il rapporto della società con la vita e la morte.
Con la sua esposizione «DEATHign your final life», in cui tutto ruota intorno all'ultimo viaggio, Bitten Stetter vuole attirare l'attenzione proprio su questo contrasto. La sarta e curatrice diplomata volta le spalle alla moda quando sua madre inizia a lottare contro una malattia terminale. Non vuole più far parte dell'industria della moda, già fin troppo satura. Vuole fare la differenza e incentra così il suo impegno sulle cure palliative. Come docente del corso Trends & Identity presso la ZHdK, dedica la sua tesi di laurea a «Things of Dying» – oggetti d’ausilio legati alla morte.
L'ultima fase di vita è l’unica che costituisce ancora un argomento tabù. Ciò si nota anche nella limitata selezione di oggetti d’ausilio legati alla morte e nella scarsa cura estetica applicata a questi oggetti. «Ci sono innumerevoli tutine per neonati. Ma solo un tipo di camicia per la cura, piuttosto semplice sia per quanto riguarda l’aspetto qualitativo, sia per quello estetico. Il mondo del design è un vero e proprio deserto in questo ambito», nota Bitten. Per curiosità do un occhiata al nostro assortimento e capisco subito a cosa si riferisce: circa 50 000 articoli per bambini e appena 150 prodotti di supporto per anziani – tra cui un’unica sedia gabinetto.
La varietà nel design inizia con la nascita e finisce con la «Silver Society». Solo dopo la morte ritroviamo numerose possibilità di personalizzazione, sia riguardo al funerale o alla tomba stessa. «Dei jeans skinny indicano che chi li indossa ha a cuore il proprio aspetto e conduce uno stile di vita sano. Se però pensi ai pannolini per adulti, o ti soffermi su una sedia gabinetto in metallo e plastica, probabilmente ti si manifestano immagini d’orrore», sostiene Bitten.
Sono convinta che l'ultima fase della vita ci spaventa tanto, anche perché è così brutta.
Nonostante Bitten sia emotivamente coinvolta nell’ultimo viaggio di sua madre, non abbandona il suo lavoro. Fa notare che l’aspetto estetico non è l’unico a lasciare interdetti: mancano veri e propri oggetti che faciliterebbero le cure. Mancano persino cartoline di saluti con una dedica adatta, mentre cartoline di auguri per il compleanno o biglietti di condoglianze si trovano in ogni forma e variazione immaginabile. «Il settore medico è molto avanzato dal punto di vista tecnico, ma manca totalmente la consapevolezza per quanto riguarda l’impatto di un design efficiente e adeguato», procede Bitten.
Soprattutto la sedia gabinetto dimostra che, invece di fare progressi, si fanno addirittura regressioni nella progettazione di oggetti d’ausilio legati alla morte. Serve come sostituto della toilette alle persone con limiti o restrizioni motorie, non più in grado di raggiungere il bagno. Chi si occupa delle cure può posizionarla all’occorrenza presso il letto, per facilitare il bisognoso. Dal punto di vista istituzionale, il sostituto del water adempie tutti i requisiti: l’altezza è regolabile, ha braccioli girevoli ed è realizzato in materiale idrorepellente. Alcuni modelli sono dotati di ruote. Tutte le varianti hanno un buco nel sedile, spesso coperto da un supporto imbottito. Sotto viene posizionato un secchio che può essere rimosso e svuotato all’occorrenza dagli assistenti alle cure.
Da un punto di vista umano, tuttavia, appare sterile, freddo e privo di stile. Ciò è dovuto principalmente alla mancanza di colore e alla sgradevole copertura in plastica che si appiccica al corpo. Allegre tonalità pastello come la lavanda o il giallo limone non sono un'opzione. «I supporti sono disponibili in blu, nero, o un più amichevole grigio. Bianco sarebbe troppo sensibile. Rosso troppo acceso. Poiché il colore è legato al gusto personale e temporale, la scelta nelle istituzioni è ridotta», spiega Bitten.
Sono convinta che l'ultima fase della vita ci spaventi tanto, anche perché è così brutta.
Non è stato sempre così. Nelle slide di presentazione della mostra si possono vedere anche bozze interessanti di vecchi design. Le prime seggette del XX secolo sono realizzate in legno e decorate in modo elaborato. Sono costituite da una scatola chiusa, con un'apertura sulla parte superiore munita di coperchio decappottabile. Sono state utilizzate nei settori di cura. Solo più tardi, quando sarà possibile tirare lo sciacquone dei bagni, verranno impiegate esclusivamente nei settori di cura e negli ospedali per i pazienti motulesi. Scompaiono, quindi, dalle proprie quattro mura e con questo perdono il loro aspetto personale.
Per queste istituzioni, le sedie gabinetto dovevano essere più economiche, impilabili e più igieniche. Anche se oggi è possibile realizzare una sedia igienica simile a un sedile WC in legno, nessuno lo fa. Nella sua ricerca, Bitten trova solo un designer che ha sviluppato una moderna seggetta per il campeggio.
Il design degli oggetti e dei mobili ha un'influenza sul nostro benessere, soprattutto in questi ambienti. «Ho vissuto una crisi che si è ripetuta più e più volte», dice Bitten. «Quando l'uomo e il suo raggio d'azione sono limitati, si accumulano anche le cose a letto. Poi viene il personale d’assistenza per il lavoro quotidiano al letto di cura. Sistemano le cose e a volte si dimenticano di rimetterle a posto, anche a causa dell’elevato carico di lavoro. Di conseguenza, l'uomo non ha più accesso ai suoi averi».
Il comodino fisicamente inaccessibile, come la sedia gabinetto, diventa un simbolo della perdita di autonomia. Entrambe le cose riempiono di vergogna le persone bisognose di cure. La sedia, perché serve per i bisogni fisiologici. Il comodino, perché costringe a chiedere aiuto ogni volta.
Per necessità, Bitten porta da casa un banale cestino da bicicletta, che fissa al letto. È a portata di mano e mobile. «La cosa interessante di questo oggetto è che è diventato un mezzo di comunicazione», spiega Bitten. Gli assistenti di cura si riferiscono al cestino come ai bagagli che i pazienti preparano per la fine della vita. Ecco perché, secondo lei, ci sono anche così tante cianfrusaglie. Che cosa prendere, che cosa lasciare indietro? Da un lato, gli oggetti sono funzionali, dall'altro comunicano in modo non verbale. Il cestino della bicicletta non ha un particolare significato intrinseco, ma simbolizza che qualcuno pensa a me e alla mia situazione. In ogni auto c'è un porta bicchieri. Perché qui mancano cose così semplici?
Nel corso della conversazione ho notato quanto sia coinvolta la designer. Parla tranquillamente, ma di tanto in tanto le cede completamente la voce sul finire della frase. «Quello che mi manca di più sono le foto insieme, mentre si parla dei vecchi tempi, ridendo a letto. Eppure raramente troviamo un posto così tranquillo e decelerato come una stanza d’ospedale».
Nella mostra «DEATHign your final life», Bitten chiede ai visitatori cosa porterebbero con sé in pochi metri quadri. Mi ci vogliono circa cinque minuti per raccogliere i miei pensieri e segnare la mia risposta sul foglio bianco. Non sono troppo sicura della mia scelta. Non ho mai pensato a cosa metterei in valigia per l'ultimo viaggio.
«Il confronto con la fine della vita è quello con uno stile di vita invisibile. Non lo conosciamo perché non lo lasciamo avvicinare a noi», dice Bitten. Ecco perché dedica il suo tempo e il suo interesse all'ultima fase della vita. Nel contesto della sua tesi di laurea applicata si reca sulla scena dell'azione: nei reparti di cura palliativa. Lì osserva l'ambiente e il personale nella loro routine. «Gli assistenti improvvisano ogni giorno, cercano di creare spontaneamente – nonostante la mancanza di tempo e di risorse – gli "oggetti di cura palliativa" mancanti. In questo modo creano atmosfere più belle. La conoscenza di "ciò che fa e va bene" di solito rimane nell’istituzione. È condivisa solamente in caso di crisi acute con i parenti e le persone care». Visita anche le fiere dell'assistenza infermieristica, fa ricerche su Internet e utilizza le banche dati dei musei.
«In futuro vorrei collaborare con il mio marchio Final Studio, per riprogettare oggetti come ad esempio la sedia gabinetto», dice Bitten. «La sedia gabinetto è associata a un sentimento di vergogna. Costa molto usarla. La fredda copertura in plastica non migliora la vicenda. Per questo sto indagando su come possa essere generato il calore, per rendere l’evacuazione più confortevole».
Bitten ha già progettato un prototipo per una tazza con beccuccio. Si suppone che invogli le persone a fornire assistenza: «Poiché le persone non sanno cosa fare per i loro parenti gravemente malati, molti siedono impotenti al loro capezzale. Una volta erano "disease manager" (assistenti per chi soffre di malattie croniche) ed erano sempre indaffarati, tra mille cose da fare. Dal momento in cui non c'è più niente da fare o si pensa che non ci sia più niente da fare, entra in gioco il design», dice Bitten.
Qualcosa di bello e utile può aiutare a superare le crisi. Uno «sposta bevande» o uno strumento per inumidire la bocca, consentono di socializzare.
Gli oggetti d’ausilio legati alla morte hanno anche lo scopo di trasmettere il sapere. «Credo che il design di questi oggetti contribuisca in modo importante a farci perdere la paura della nostra mortalità. Quando qualcosa non ci spaventa più, smettiamo di farne un tabù. Cominciamo ad affrontare questa fase della vita con un’attitudine diversa, non scaturita da una paura radicata. La pianificazione anticipata della fine della nostra vita – senza esserne profondamente colpiti o turbati – consente una morte più serena.
Anche Bitten sembra essersi data una riprogettazione. Diversamente da quanto mi aspetterei da qualcuno che è stato nel settore della moda superficiale, Bitten non è vanitosa neanche un po’. Indossa abiti modesti ed è riservata davanti alla macchina fotografica del nostro fotografo Thomas Kunz. L'unica cosa che spicca sono i suoi grandi occhiali in stile retrò. Fanno brillare gli occhi di Bitten due volte, quando parla di cosa significhi per lei il design di oggetti d’ausilio legati alla morte: «Credo fermamente nell'effetto calmante e confortante di una disposizione amorevole nel periodo di malattia».
Sono la cheerleader del buon design e ti informo su tutto ciò che ha a che fare con l'arredamento, parlandoti delle ultime trovate dell’interior design – dalle più semplici alle più sofisticate – mostrandoti i nuovi trend e intervistando le menti creative del design direttamente sul loro posto di lavoro.